RISTORAZIONE COLLETTIVA. DOPO QUATTRO ANNI PERCHE' NON C'E' ANCORA IL CONTRATTO

Milano -

Il 18 febbraio si sono interrotte le trattative sul contratto nazionale della ristorazione collettiva. Perché? Nessuno dice niente. Filcams-Fisasca-Uiltucs si lamentano ma non dicono le ragioni. A noi un uccellino ha suggerito che il nodo sta nel contributo per gli enti bilaterali. Sempre una questione di soldi. Non quelli da mettere in busta paga, ma quelli che servono a loro. Sempre soldi nostri che ogni mese, iscritti o meno a quei sindacati, tutti devono sborsare. Dovrebbero usarli come ammortizzatori sociali per chi viene licenziato, per chi non riesce a pagare i libri scolastici per i figli,  per vigilare sulla sicurezza del lavoro.  Avete mai visto niente? Poca, pochissima roba. Ma qui sta il punto. Visto che cala vistosamente il numero dei tesserati, dove si vanno a prendere i soldi per il mantenimento di immensi apparati burocratici? Dai lavoratori, obbligati a sborsare un bel po’ di quattrini ogni mese. Lo stesso succede per i fondi pensione integrativi verso i quali i lavoratori vengo spinti ad aderire. E hanno pure tentato di renderne obbligatoria l’iscrizione.

Dicono che la responsabilità della rottura sia delle cooperative, sempre più esose. Ma non sono loro amici? Non appartengono allo stesso mondo? Beghe in famiglia su come spartirsi il bottino. La realtà la vediamo tutti i giorni quando firmano riduzioni di orario, sospensioni invernali, orari spezzati, demansionamenti, verbali di mancato accordo, cambi di contratto al ribasso. E che dire poi delle normative, vecchie di decenn,i quando il mondo del lavoro – meglio, dei lavori - è cambiato enormemente? Neanche una parola.

Allora, che fare? L’unica via è stracciare le loro tessere e combattere volta per volta, cambio d’appalto su cambio d’appalto tenendo duro, mantenendo i diritti acquisiti, le ore.