Caso San Raffaele: benvenuti al nord!

ovvero, come il "sistema lombardo" è diventato un paradigma centrato sul profitto che sta distruggendo ovunque la sanità al servizio della salute. Il nostro editoriale sulla vicenda del San Raffaele

Milano -

Quanto accaduto al San Raffaele di Milano non è un episodio isolato, come da molte parti si sta provando a rappresentare, ma è l’ennesima conferma di un sistema sanitario lombardo ormai al limite, compromesso da anni di esternalizzazioni, tagli al personale e scelte politiche che hanno messo al centro il profitto invece della salute. L’USB lo denuncia da tempo, portando alla luce e segnalando agli organismi competenti - su tutti ATS, Ispettorato del lavoro e Procura della Repubblica - criticità che oggi diventano impossibili da ignorare.

La vicenda del San Raffaele, dove personale senza adeguata formazione è stato impiegato in reparti altamente delicati, rappresenta un modello già visto altrove e, va detto senza esitazioni, le responsabilità non sono certo da attribuire prioritariamente alla qualità degli operatori.

L’USB aveva sollevato allarmi simili anche all’ASP Golgi-Redaelli, dove interi reparti sono stati affidati a esternalizzazioni che si sono rivelate un fallimento totale, con gravi disservizi, carenze organizzative e un impatto diretto sulla qualità dell’assistenza ai pazienti, basti ricordarne una su tutte: durante la pandemia da Covid, i decessi nei reparti appaltati sono stati ben quattro volte maggiori rispetto a quelli a gestione interna. Un episodio gravissimo – trattandosi di centinaia di decessi! – che però è stato evidentemente derubricato da tutti gli organismi coinvolti a incidente di percorso, invece che ad un problema strutturale di sistema.

Lo stesso copione si è replicato in altre strutture pubbliche e private, a dimostrazione di quanto la logica dell’appalto sia incompatibile con la cura delle persone e rappresenti oggi il vero cancro in ogni ambito lavorativo, fucina di precariato, disservizi, sfruttamento, profitto ad ogni costo, lesione dei diritti.

Purtroppo il problema in sanità non riguarda solo le esternalizzazioni: anche dove il personale è strutturato, la situazione è ormai al collasso. USB denuncia da anni reparti ospedalieri pubblici in cui due soli infermieri devono gestire di notte trenta o quaranta pazienti, condizioni che mettono a rischio sia la sicurezza dei malati sia l’incolumità degli operatori. A tutto questo si aggiungono reparti chiusi, servizi ridotti all’osso e liste d’attesa interminabili per visite ed esami, che rendono inefficace il diritto alla cura. Ovviamente a beneficiare di questa situazione di dissesto sono gli operatori privati della salute, i falchi che hanno il proprio interesse non nella salute ma nella malattia.

Il caso del San Raffaele è anche altamente rappresentativo di questa strutturazione della sanità che, partendo dalla Lombardia, si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il paese. Non può infatti essere un caso che sia Roberto Maroni che Angelino Alfano, due ministri dello Stato, abbiano ricoperto incarichi di altissimo livello all’interno del Gruppo San Donato, padrone incontrastato della sanità privata lombarda (e non solo). C’è una precisa volontà politica che purtroppo accomuna regioni e coalizioni di centro destra e centro sinistra, in una fanghiglia ormai indistinguibile e lungo una slavina che coinvolge ogni ambito di un Paese che in tre decenni si è privato di un ruolo di ogni asset strategico - energia, comunicazioni, trasporti, acciaio, solo per citarne alcuni - e che adesso sta smantellando anche il sistema sanitario, mettendolo a profitto conto terzi.

La crisi si estende anche ai servizi non clinici: mense, manutenzioni, uffici tecnici, pulizie, laboratori. L’USB ha più volte denunciato come gli appalti al massimo ribasso e la riduzione del personale abbiano compromesso l’efficienza e la sicurezza, generando continui disservizi e ulteriori criticità per l’intero sistema ospedaliero.

A peggiorare il quadro la difficoltà a reperire personale, un fenomeno ormai incontestabile. I motivi sono chiari: lo smantellamento progressivo della sanità pubblica, i salari bassissimi prodotti anche da rinnovi contrattuali insufficienti ed erosi dall’inflazione, la mancata valorizzazione delle professionalità e carichi di lavoro insostenibili hanno spinto migliaia di infermieri, OSS e tecnici a cambiare mestiere o a emigrare all’estero. Questo avviene in un quadro generale ancora più allarmante che vede ogni anno centinaia di migliaia di giovani, per lo più laureati, lasciare un paese nel quale le prospettive spesso si riducono ad un precariato povero e perenne.

Ormai da anni denunciamo anni queste responsabilità politiche, additando anche quelle di alcune sigle sindacali complici nel creare condizioni che hanno impoverito ulteriormente la categoria e reso la professione sempre meno attrattiva.

Per l’USB, la direzione è chiara e non più rimandabile: investire nel personale, garantire rinnovi contrattuali nazionali finalmente adeguati, stabilizzare il lavoro, rafforzare la formazione, riconoscere le competenze e fermare la spirale di esternalizzazioni e appalti che stanno distruggendo la qualità dell’assistenza. Ma soprattutto porre un freno al degrado che sta facendo smottare la sanità pubblica ed il diritto alla salute ad essa connesso, verso un inferno che risponde solo alla logica del profitto. Questo va fatto mettendo regole chiare, ferree e incentrate sul diritto alla salute e riducendo la quota di prestazioni sanitarie accreditate ad operatori privati che nella nostra regione ha ormai superato il 50%.

In questo senso, il caso San Raffaele, come quello del Golgi-Redaelli e di molte altre strutture lombarde, deve diventare il punto di svolta.

Ricordiamo che per effettuare una visita medica o qualunque prestazione sanitaria, anche in Lombardia si attende per lunghi mesi e che a tutt’oggi gli impegni in tal senso di politici e amministratori regionali della sanità si sono rivelati solo una grande montagna di menzogne per continuare a distruggere il giochino a favore degli “amici”

 

USB SANITA'