DIBATTITO SUL LAVORO A MERATE: PADRONI E SINDACATI SANTIFICANO IL DIO MERCATO

Merate -

Il dibattito sul lavoro organizzato l’altra sera nella sala civica di Merate dal Rotary Club è molto istruttivo su come viene affrontato un tema così importante nella vita di ogni cittadino. Al centro non l’uomo con i suoi problemi di sussistenza, di dignità, di felicità. No, la parola magica è stata mercato, la declinazione meno prosaica di soldi. La terribile condizione dei disoccupati lecchesi (dal 2008 in provincia si sono persi 12mila posti di lavoro) è stata affrontata con frasi, farcite da tanti termini in lingua inglese, come "non esiste più il posto di lavoro, ma esiste il percorso di lavoro", "in fondo è molto meglio la dinamicità di più esperienze che non la staticità del posto fisso", "se mantieni i buoni rapporti col network sociale rientri immediatamente al lavoro", "il jobs act incrementerà le assunzioni, ma quel che conta è come sostenere l'impresa Italiana", "se sei propositivo i colloqui avranno un buon esito", "se vieni licenziato puoi creare tu impresa che poi la lasci a tuo figlio". Una vera messa cantata per celebrare la flessibilità: trasferimenti, cambi di mansione, cambi di orario, perdita del lavoro, tutto in nome del dio mercato e delle sue logiche perverse e distruttive. Infine la perla regalata da un sindacalista della Cisl che ha affermato, senza pudore, che "è finito il tempo che si chiedeva tanto, ora bisogna remare nella stessa direzione delle aziende". La dimostrazione che, se ancora ce ne fosse bisogno, la logica in cui si muovono padroni e quei sindacati (Cgil-Cisl-Uil) è una sola: datori di lavoro e lavoratori sono sulla stessa barca, non esistono rematori e timonieri, non esiste chi sfrutta e chi è sfruttato, non esistono ricchi e poveri, non esiste chi ha il potere e chi è soggiogato dal potere. Siamo tutti uguali magari con funzioni diverse ma, ecco il falso sogno propagandato a piene mani, con la possibilità di diventare tutti imprenditori, ricchi, potenti. Ma la vita di tutti i giorni ci dimostra esattamente il contrario.