DOPO EXPO: I CAIMANI COMINCIANO A SBRANARSI. E NESSUNO PENSA AL BENE PUBBLICO
Non è ancora iniziato che il dopo è già cominciato. Sembra un paradosso ma non lo è: il dopo Expo da giorni è sulle prime pagine del Corriere milanese e ha scatenato liti, appetiti e fantasie. C’è chi rivanga vecchie storie: Cabassi piange perché gli hanno pagato poco le sue terre e lo hanno pure deriso, Formigoni, allora governatore lombardo, che lo conferma e si pavoneggia per averlo preso in giro. C’è invece chi si inventa progetti d’ogni tipo: “deve diventare una Silicon Valley dell’agricoltura e dell’agroalimentare”, dice Viviana Beccalossi, assessore regionale all’Urbanistica; no, sostiene il suo capo, il governatore Maroni, “voglio un nuovo stadio”; “meglio un centro per la ricerca sul clima e le previsioni meteo”, afferma il commissario Expo Sala. Intanto nessuno si è presentato alla gara per trovare “uno sviluppatore di progetto”: troppi i 315 milioni di euro chiesti da Arexpo (Comune, Regione, Fiera) che deve rifarsi delle spese sostenute. A proposito, il Corrierone dice che è la prima volta al mondo che per un’area Expo si utilizzano, pagandoli, terreni privati e non, gratis, suolo pubblico. Gli interessati aspettano, sornioni, che ricominci la solita buriana, scattino i soliti veti incrociati, si tiri in lungo finché scatterà l’emergenza, quando si dovrà decidere, come già successo prima, con il fiato sul collo e allora sì che verrà il bello, che gli affari diventeranno appetibili, che le aree verranno via per poco, che gli appalti fioccheranno copiosi. Siamo alle solite: per anni amministratori pubblici, imprenditori, finanziarie, immobiliaristi, società di servizi e di appalti, architetti si sono scannati per saltare addosso a un progetto inutile, costosissimo, devastante per la città, ma generosissimo per le loro tasche. Con mafia e ‘ndrangheta che si fregavano le mani per il piatto succulento sul quale buttarsii. Poi, messisi d’accordo, il progetto divenuto realtà lo hanno spolpato ben bene. E adesso sono pronti a ricominciare: c’è un’area da occupare, padiglioni da utilizzare, servizi di base da sfruttare. Che poi si possa riconvertire quell’area per un fine pubblico, magari edilizia popolare, scuole, università, ospedali, veri centri di ricerca, non viene loro nemmeno in mente. O se per caso succederà continueranno a utilizzare gli stessi metodi: appalti truccati, corruzione, sprechi, interventi mafiosi, senza nessun controllo da parte dei cittadini E pensare che si dovrebbe parlare di alimentazione, cibo, colture biologiche. Ma chi se lo ricorda più che sono questi i temi dell’Expo? I ristoratori che si sono presi l’appalto delle cucine, forse.