Lombardia: La farsa dei tracciamenti (ormai) inutili e la schiavitù a Covindustria
“Oggi non basterebbero neanche migliaia di tracciatori, bisogna puntare su strategie alternative”. Era il 31 Ottobre 2020, quando sulle pagine del Corriere della sera scorrevano queste parole, scritte dai massimiresponsabili di ATS Milano in materia di malattie infettive, nella lettera al giornale intitolata “Covid Milano, il fallimento del «contacttracing»: ecco perché ora è impossibile inseguire il virus”.
Queste scoraggianti parole partivano dalla constatazione del Direttore Sanitario della stessa ATS, Vittorio De Micheli,che“se la velocità di crescita è questa, non si riesce a rincorrerla… Non riusciamo a tracciare tutti i contagi, a mettere attivamente in isolamento le persone”. In quell’occasione, Andrea Crisanti aveva così commentato: “Hanno avuto l’onestà di ammetterlo … In Italia siamo in grado di tracciare fino a 2000 casi al giorno con le capacità che abbiamo. Con 12mila contagi salta tutto, il sistema va in tilt: non c’è contacttracing né App Immuni in grado di reggere un impatto del genere”. Figuriamoci oggi, che i nuovi contagi sono più di 20.000 al giorno, quasi 5.000 solo in Lombardia.
Sorprende, quindi, ma non stupisce (visti i precedenti) che ATS Milano abbia appena precettato all’attività di tracciamento dei casi positivi qualche centinaio di operatori, sanitari e non, afferenti ai più disparati servizi e dipartimenti. L’effetto negativo è doppio: per un verso si sottrae forza lavoro normalmente deputata a funzioni di prevenzione e di controllo (negli ambienti di vita, sanitari, di lavoro, di ristorazione, di allevamenti, e quant’altro costituisca l’oggetto di prestazioni ATS), mettendo in ginocchio unità operative già sull’orlo del collasso per gli ingenti salassi di personale a cui sono stati condannati da decenni di mancate assunzioni e dimancato turn-over; dall’altro si ottiene l’effetto di concentrare cospicui contingenti di lavoratori su attività che, alla luce di quanto universalmente sostenuto dagli esperti, non è più proficua, in conseguenza dell’alto numero di contagi che quotidianamente si riscontrano.
Una pura manovra propagandistica, tesa a dimostrare il forte impegno di ATS, senza alcuna giustificazione per tale dispiegamento di forze.
Contemporaneamente, ogni giorno ci tocca assistere al tragico balletto di notizie contraddittorie sulle motivazione dell’avvilente risultato della Regione Lombardia nella classifica nazionale delle avvenute vaccinazioni anti-CoViD: i vaccinici sono sufficienti, per quanto in numero inferiore al previsto, ma le strutture regionali non sono in grado di praticarle o le dosi disponibili sono insufficienti, come il Presidente Fontana continua a ripetere e, per questo, la campagna arranca? Quest’ultima ipotesi non trova riscontro nei dati, che mettono in evidenza l’elevato numero di vaccini inutilizzati presso i frigoriferi degli HUB regionali preposti. Ma, allora, se il difetto sta nella scarsa capacità di somministrazione, che relega la Lombardia in fondo alla specifica classifica nazionale, non sarebbe meglio destinare tutte le risorse disponibili all’attività vaccinale, secondo l’omonimo piano nazionale, visto che è opinione unanime che la priorità dell’oggi è la profilassi nei tempi più brevi e in forma più completa possibile?
Perché ATS Milano, diretta emanazione (politica e funzionale) di Regione Lombardia, distoglie importanti risorse (in particolare medici, infermieri e assistenti sanitari), oltreché dai propri compiti istituzionali, dalla fondamentale funzione vaccinatoria, in evidente difficoltà gestionale? Tanto più che tali risorse vengono destinate ad attività che, come sopra dimostrato, non hanno ricadute positive per i singoli cittadini e per la collettività?
Una parziale risposta proviene dal recentissimo accordo stipulato tra Regione Lombardia e Assolombarda sull’esecuzione della vaccinazione anti-CoViD nelle aziende della regione: coinvolgere i medici competenti aziendali, notoriamente ricattati dai datori di lavoro, tenendo lontano dai luoghi di lavoro gli ispettori dell’ATS, in altre faccende affaccendati, potrà facilitare la vergognosa manovra congiunta tra politica e imprenditoria regionale, tesa a sconvolgere le priorità individuate a livello centrale, a favore della produzione e del profitto: vaccinare, in un contesto di carenza di dosi di vaccino, prima i lavoratori in modo da garantire la produzione e i profitti (indipendentemente dalla fragilità e/o dall’età) e solo dopo, se ne resterà disponibile, le persone più anziane, i fragili, i cronici. Questo rappresenta in fondo la messa in pratica della teoria spudoratamente proposta dalla signora Moratti, subito dopo l’insediamento nell’assessorato alla sanità regionale: nell’individuare le priorità vaccinali in base al reddito: vale di più chi produce più ricchezza.
Alla faccia dell’universalità di tutela prevista dall’art. 32 della nostra Costituzione!
Resta comunque certo che il ritardo nelle operazioni di vaccinazione non potrà mai essere colmato se non si provvederà a mettere in atto la madre di tutte le soluzioni: assumere il numerosissimo personale mancante. Senza questo fondamentale passaggio, del quale la pandemia ha dimostrato l’urgenza e la necessità, non può esservi soluzione possibile.
Infine, ma non per questo meno importante, la mancanza di luoghi idonei alla vaccinazione,fuori dalle strutture ospedaliere propriamente dette (per quanto tempo continueremo a pagare la distruzione della medicina territoriale e la scelta di un sistema ospedalocentrico?), non potrà che aggravare ulteriormente una situazione già disperata.
In conclusione e sintesi: è necessario che i pochi operatori sanitari disponibili vengano utilizzati in operazioni davvero necessarie in questo momento, come la vaccinazione, e non su operazioni inutili o dannose e di facciata come il tracciamento, messo in discussione dall’intera comunità scientifica, in questa situazione di diffusione incontrollata del virus.
USB Lombardia