Pronto soccorso privati: un portale verso il già noto (ai confini della sanità)
Il diffondersi dei pronto soccorso privati a pagamento va letto dentro un ambito più esteso e in prospettiva. Solo così se ne possono cogliere la vera pericolosità e i veri obiettivi.
La recente apertura di un altro pronto soccorso privato in Lombardia ha scatenato una ridda di commenti, giustamente scandalizzati, cristallizzati attorno all’idea che si tratta dell’ennesima trovata funzionale ad una sanità sempre più a misura di ricchi. Difatti, quello che è stato definito unanimemente come “il pronto soccorso per i ricchi” spinge ancora più in là il confine della privatizzazione della sanità e del diritto alla salute, nella regione dove questo processo è ad un livello avanzatissimo e sempre più aderente a livelli di “americanizzazione” (leggesi USA) preoccupanti.
Eppure, leggere questa vicenda solo attorno al concetto di pronto soccorso per ricchi, dove basta pagare 146 euro per essere assistiti senza fare code, rischia di nascondere un pezzo importante di realtà che, invece, in prospettiva apre scenari ancora più preoccupanti.
Per capire meglio quello che vogliamo dire, bisogna fare un passo indietro, almeno fino alla recente pandemia che in Lombardia ha avuto esisti nefasti, non solo perché è stata la regione epicentro del contagio ma anche perché la strutturazione del sistema sociosanitario assistenziale – pensato con la centralità nel redditizio sistema ospedaliero – ha negli anni distrutto la medicina territoriale e di prevenzione, facendo in modo che tutto il terremoto dei contagi si abbattesse come uno tsunami sulla rete ospedaliera, che non ha retto. Questa è la principale criticità del sistema lombardo, sulla quale tutti hanno concordato e per ovviare alla quale lo stesso governo aveva espressamente chiesto alla Lombardia di attivare una riforma capace di ripristinare una rete di medicina territoriale di prossimità adeguata.
Di tutte le inutili cretinate gattopardiane che il governo regionale mise in campo, quella che più colpì l’immaginario generale fu l’istituzione delle Case della Salute, presidi territoriali nei quali i cittadini lombardi avrebbero trovato in via ordinaria – ma anche prioritaria- una prima risposta ai propri problemi di salute. Queste strutture fantasiose (ma che presto avremmo definito “fantastiche”, come certe novelle della mitologia nordica) avrebbero dovuto contenere strutture ambulatoriali, diagnostiche, medici di base, infermieri di territorio e tante altre figure appartenente alla mitologia padana della sanità pubblica.
Peccato che nessuno deve aver spiegato ai vertici regionali (che nel frattempo si sono succeduti a raffica: Gallera, Moratti, Bertolaso) che strutture del genere e soprattutto il (tanto!) personale sanitario che serve al loro funzionamento non si ottiene pronunciando una formula magica celtica, né innaffiando con acqua magica le aride strutture di cemento dei vecchi poliambulatori riciclati per l’occasione; né soprattutto facendo attaccare sulla facciata di queste strutture la nuova insegna biancoverde CASA DELLA SALUTE: neanche questo “rito pagano” purtroppo ha prodotto ciò che serviva per trasformare queste strutture in autentiche Case della Salute dove sarebbe stato possibile garantirsi attraverso la sanità pubblica la tutela del proprio diritto alla salute.
Ad oggi, le Case della Salute sono strutture vuote, involucri del nulla, senza personale, senza attrezzature, senza direzione senza capo e senza coda. Il nulla! Esattamente ciò che serviva per continuare a sviluppare il comitato d’affari che smantella la sanità pubblica e la mette nelle mani di quella privata e che se ne frega altamente del diritto alla salute.
Quindi, di fronte ad un sistema sanitario pubblico sempre più al collasso, dove malgrado le promesse post-covid non si è investito quasi nulla in personale, malgrado la mancanza di almeno 8000 operatori, ecco che trova spazio quest’altra operazione di marketing dei Pronto Soccorso privati che di fatto non sono uno strumento di concorrenza ai Pronto Soccorso degli Ospedali Pubblici (i privati dovrebbero sostenere costi troppo alti per eguagliarne le prestazioni) ma diventano dei portali attraverso i quali accaparrarsi altri pazienti da convogliare dentro il proprio sistema di cure: consulenza specialistica, esami diagnostici, eventuali ricoveri, interventi etc etc. Si tratta, di fatto, della funzione che avrebbero dovuto avere le Case della Salute e che, invece vengono di fatto trasferite a queste strutture di Pronto Soccorso farlocche.
E capire che si tratta di un’operazione di marketing è anche abbastanza semplice per alcuni elementi che proviamo ad elencare:
- La prima e più banale che appena ti presenti, devi pagare 146 euro solo per poter dire chi sei e cosa vuoi
- La seconda è che vengono accettati solo codici bianchi e verdi, vale a dire persone che non presentano alcuna potenziale seria criticità per la propria salute, avendo di fatto bisogno semplicemente di attività ambulatoriale, quella che dovrebbe garantire la rete di medici di famiglia, Case della Salute e Guardie Mediche e che invece è fortemente in sofferenza in quanto depotenziata
- La terza è quella di appurare quali figure sanitarie si potranno trovare arrivando in queste strutture: escludendo per ovvi motivi che saranno presidiati da professionisti specializzati in medicina di urgenza, è facile ipotizzare che saranno altri ricettacoli di sfruttamento e improvvisazione, composti da specializzandi, medici e infermieri in pensione e dagli “ultimi della classe”, quelli che sono stati espulsi da altre strutture sanitarie per le più varie ragioni
- La quarta, e più importante, riguarda la salute: una volta appurato che il paziente ha un problema grave o potenzialmente tale (codice giallo o rosso), cosa succede? Viene trasferito presso un Pronto Soccorso pubblico attrezzato per affrontare la situazione! E’ la cosiddetta pratica dello “Cherry Picking”, quella con la quale la sanità privata si sceglie le prestazioni più convenienti e remunerative – cioè quelle che generano profitto- lasciando alla sanità pubblica quelle “a perdere” dove il valore da tutelare non è il profitto ma la salute. Questa è la logica che sta dietro alla distruzione della medicina di prevenzione o a quella della salute mentale che, non producono guadagni interessanti…anzi
Ed è quindi questo lo scenario all’interno del quale bisogna guardare a questi nuovi negozietti della salute, simili a quegli stand che incontri nei centri commerciali, dove non compri nulla ma ti propongono un mondo fatto di prodotti, servizi, sconti e offerte e che si prefiggono lo scopo principale di farti diventare cliente: poi loro sapranno cosa venderti nei secoli dei secoli.
In tutto questo, la sanità pubblica è rimasta al palo, come le Case della Salute. Le promesse del covid sono finite in nulla e in Lombardia manca tutto: medici di famiglia, strutture ambulatoriali (ormai il CUP regionale indirizza verso strutture provate), diagnostica e soprattutto manca tanto, tanto personale.
Ciò che funziona è la macchina del profitto e dello sfruttamento nel nome della salute che si chiama Sanità lombarda, la stessa che, attraverso le sue prassi palesemente criminogene, ha portato due ex ministri dell’Interno come Alfano e Maroni ai vertici di uno dei gruppi più grandi della sanità privata.
La storia è sempre la stessa: lo Stato viene sempre più piegato agli interessi delle aziende e del profitto e chi non lo vede è sotto l’incantesimo delle pratiche magiche dei celto-lombardi che saranno pure dei gran cazzari ma i conti dei loro padroni li sanno fare, eccome!
USB Lombardia