Sanità Lombardia, USB: dietro la crisi non solo i comitati d’affari, ma anche la scelta di azzerare i servizi territoriali

Milano -

Su La Repubblica di martedì 20 ottobre si legge un articolo a firma Tito Boeri e Roberto Perotti che, invece di “La scoperta dell’acqua calda” si è preferito intitolare “Quei premi ai manager che hanno tagliato i letti covid lombardi”. Si tratta di un articolo – giustamente di denuncia - nel quale si mettono in evidenza aspetti del sistema sanitario lombardo che stiamo denunciando da anni, con dovizia di particolari (agghiaccianti).

Il quadro descritto è quello di un sistema sanitario che in condizioni di normalità era percepito (e in parte funzionava) come eccellente ma che alla prima difficoltà, grazie alla pluridecennale politica di tagli, non ha retto l’impatto del SARS-CoV-2, ritrovandosi senza posti letto e servizi che nel frattempo erano stati ridotti al lumicino in virtù della macelleria sociale dei tagli lineari, tanto che i posti in terapia intensiva, in rapporto agli abitanti, risultavano meno della metà di quelli della Germania.

Un sistema sanitario che potrebbe essere descritto come tutto volto alla realizzazione di efficienza e profitto ma con scarsissima attenzione alla tutela della salute. È il capitalismo, bellezza! E, nel caso della Lombardia, un’evidenza confermata dalla lunga sequela di Comitati d’Affari (mica assessorati!) che ne hanno governato il sistema sanitario con privatizzazioni massicce, precariato diffuso, appalti come piovesse.

Manca però qualcosa di fondamentale nell’analisi di Boeri e Perotti: l’accento sul fatto che a far collassare gli ospedali già martoriati abbia pesato enormemente la scelta di ridurre al lumicino i servizi territoriali, a partire da quelli di prevenzione che avrebbero sicuramente evitato che l’ondata si abbattesse esclusivamente sui nosocomi. Così come manca una considerazione sull’inutilità dell’abbondantissima sanità privata (in Lombardia quasi al 50% in termini di prestazioni erogate) entrata parzialmente in gioco in piena crisi epidemica e solo dopo aver chiuso gli accordi economici con la regione.

Non ci sorprende quindi –ahinoi!- che in questa condizione, anche il primo periodo post emergenza sia stato gestito con criteri del tutto manageriali: attenti alle questioni organizzative ed economiche ma incapaci di riorganizzare il sistema attorno all’unico criterio irrinunciabile: il diritto alla salute.

La vicenda dei premi dati ai manager capaci di chiudere i posti letto covid, per riconvertire le risorse recuperate in servizi ambulatoriali che non avevano funzionato per mesi, va letta nell’ottica di una sanità che pretende di funzionare  senza investimenti aggiuntivi, senza recuperare le decine di miliardi di tagli operati negli ultimi anni; una sanità capace solo di provare a tappare i buchi (provare, neh!) ma che non ha messo in piedi un necessario piano di assunzioni di personale stabile, né investimenti strutturali per modificare il rapporto tra posti letto e numeri di cittadini, tra spesa sanitaria e PIL per riportarlo sui livelli della media dei paesi europei.

Ed è così che la Sanità Lombarda si trovi impelagata nella diabolica logica del comitato d’affari, del familismo (vero, Fontana?), dell’incompetenza ad ogni livello (vero, Gallera?), incapace pure di spendere quegli 80 milioni messi a disposizione dal governo per l’assunzione di personale che, come già anticipato, sarà ancora una volta precario. Precario come la nostra salute al cospetto di un’epidemia che in Lombardia la strutturazione del sistema sanitario ha reso più letale che altrove.

Nel frattempo, dagli ospedali, tramite delegati e lavoratori, ci arrivano i primi segnali di allarme rispetto alle difficoltà legate ai temi che qui affrontiamo: si stanno saturando i posti in terapia, i Pronto Soccorso cominciano a non reggere l’afflusso di pazienti e i servizi ambulatoriali ricominceranno a fermarsi perché con le risorse a disposizione non si possono fare funzionare pienamente sia gli ambulatori che i reparti.

Sarà necessario, per comprendere la vera portata della pandemia nella nostra regione, aggiungere al numero dei morti da Covid, quello dei decessi di tutti quei cittadini – soprattutto malati cronici - che non hanno potuto curarsi regolarmente proprio per la chiusura degli ambulatori.

Di fronte a tutte queste evidenze, la politica è inerte e la seconda ondata della pandemia ci ha sorpreso quasi come se la prima non fosse mai esistita, negli ospedali come nelle RSA.

Basta la salute, si diceva una volta. Una volta, appunto!

Unione Sindacale di Base